36HOURS IN PALAZZO ABATELLIS

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2018



Con l’intervento del 1954 per Palazzo Abatellis, Carlo Scarpa si inserisce in quella generazione di giovani architetti che, al pari di Albini e BBPR, nel secondo dopoguerra diedero una svolta innovatrice alla tradizione museografia d’accademia.
Il restauro dell’edificio e l’allestimento delle opere della Galleria Nazionale della Sicilia si configurano, attraverso l’occhio sensibile del maestro veneziano, in un progetto del tutto contemporaneo che fa dell’architettura stessa oggetto di esposizione.

Il gioco di congegni e mediazione ideati come supporti, pannelli e piedistalli con cui le opere della collezione sono disposte nel palazzo, seguono una narrazione di lunghe pause e soluzioni di continuità.
I capolavori di Antonello da Messina vengono quasi ‘estraniati’, strappati alla genericità spaziale e temporali e ricollocati in un presente sospeso, liberi di essere reinterpretati.
Il visitatore si trova dunque di fronte ad un diverso di approccio espositivo (per certi versi simile al concetto di Living Museum di Alexander Dorner) che presuppone un interazione diretta con l’opera d’arte, piuttosto che un’osservazione passiva.

Le opere sono organizzate e isolate in una successione di ordinati universi spazio-temporali, dove il presupposto primo è la dinamicità del movimento. L’architettura è quindi un’architettura da percorrere, la continuità spaziale si realizza nella possibilità di percorsi fisici e visuali. Il concetto moderno di architettura peripatetica viene qui applicato al fragile contesto storico, il cui linguaggio figurativo viene rispettato e riportato ad un dialogo con il presente.

Il visitatore, attraverso il suo percorso percettivo, diviene misura dello spazio esistente.
La visita si articola liberamente tra i preziosi meccanismi di supporto ed esposizione, attraverso un palinsesto di tracce e segni tridimensionali. Il fruitore è chiamato a seguire un tessuto di indizi narrativi, che tuttavia lasciano nella leggerezza dei vuoti e nelle sottili finiture di dettaglio, piena libertà di movimento.

Il progetto si configura come il tentativo di catturare l’evanescenza di questi momenti attraverso il medium fotografico. Il fotografo è anch’esso chiamato a spostarsi, camminare, percorrere le sequenze di spazi, senza seguire un punto di vista stabile.La serialità dei diversi scatti, al limite tra il tecnicismo formale e la ripetizione del gesto, vuole restituire la leggera danza che ogni giorno prende luogo all’interno del museo, ma che tuttavia continua ad animarlo.


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